Quello che mi era stato detto

Circa un anno fa, durante un viaggio, mio padre mi disse “Il distacco serve”.



Mi ribadì lo stesso concetto un paio di mesi dopo, quando ero in procinto di partire: “Il distacco fa male, ma serve”.

Non avrei mai potuto dargli tanto ragione.

E’ difficile separarsi da tutti i nostri cari, dalle nostre certezze e da quello che a fatica abbiamo costruito negli anni. Ma serve. A capire tante cose.

Ma il vero e proprio distacco, non è quello strettamente legato alla partenza, alla distanza o alla separazione. A volte dobbiamo crearlo noi.

Dobbiamo avere un momento in cui decidiamo di prendere le distanze da tutto e da tutti, senza influenze esterne. Senza contatti. Un momento in cui spegniamo il telefono, abbassiamo lo schermo del portatile, e non ci siamo più per nessuno.

Questo, è il distacco: un momento in cui dobbiamo bastare a noi stessi. In cui dobbiamo riprendere in mano le redini e domarci autonomamente. Senza dare spiegazioni e senza motivazioni particolari. Semplicemente, per quei due giorni o per quelle due settimane, deve andare così. E serve.

Serve a capire quanta strada abbiamo fatto, dove siamo arrivati e dove stiamo andando. Chi abbiamo incontrato e chi vogliamo tenere a fianco. Chi ci manca, a chi manchiamo e chi non vediamo l’ora di poter rivedere. Impariamo a rifletterci nello specchio e ritrovare, all’apparenza, il volto di un estraneo. Impariamo ad apprezzare il valore del silenzio e ad allontanarci da quei brusii, trambusti, mormorii e confusione che ogni giorno ridondano nelle nostre orecchie per interminabili. E a questo punto, a non riconoscerci in quelle azioni usuali, routinarie che forse dobbiamo modificare un po’ per sentirci nuovi.

In questo periodo, tutto si mette in discussione. Le amicizie, il lavoro, i colleghi. Ma soprattutto, la nostra persona. Si passa col rastrello ogni singolo spigolo del nostro io. Si scandaglia fino al fondo. Si toglie la polvere da tutti quei margini che erano stati dimenticati.

E poi, ritorna.

Ritorna il momento in cui riapriamo la porta di casa, ci rimettiamo le scarpe, e usciamo. Cominciamo a camminare e a respirare una nuova aria. Ritorniamo in quei posti che conoscevamo per incontrare volti nuovi e volti già conosciuti. Per riabbracciare amici, e per non rivederne più.

Perché ci sono persone che per noi sono il mondo, ma per cui noi siamo solo una città. Persone che ci sono mancate e persone delle quali possiamo fare a meno, e le quali possono stare bene anche senza di noi. E quando riaccendiamo il telefono, troveremo molti messaggi, o forse nessuno. O forse ancora, meno di quanti ce ne aspettavamo.

Perché purtroppo non tutti capiscono che lo abbiamo fatto per noi, e non per loro o contro di loro. E laddove eravamo i benvenuti, forse non lo saremo più. O magari, dove avevamo trovato una porta chiusa, ora c’è un portone spalancato. E le sorprese, a volte, sono bellissime.

“Il distacco fa male, ma serve”.

E fa male, anche quando siamo noi a cercarlo.

Ma il distacco serve. E ci serve per capire quanto siamo bravi a stare soli, pur avendo sempre bisogno di qualcuno.

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