Chi semina raccoglie

Quando cominciai il Corso di Laurea in Infermieristica non sapevo dove sarei arrivato. Inizialmente, non sapevo neanche se sarei andato avanti, nel momento in cui mi trovavo lì perché non avevo passato il test di ingresso per Medicina. Sapevo solo che fortunatamente avevo un piano B e che quello stesso piano B stava incidendo tantissimo sulla mia vita.

Esattamente un anno fa cominciavano i primi corsi, le prime relazioni sociali con i miei colleghi, con le prime pause caffè&sigaretta a chiacchiera e a scaricare l’uno sull’altro l’ansia per i primi esami. ma l’interesse per la scienza e per il corpo umano rimanevo i miei due fedeli compagni.

Penso di essere cambiato tanto dall’anno scorso: al di là del fatto che la mia misantropia e scarsa fiducia per il prossimo si facciano sentire sempre di più, ho anche capito che il mio piano B era in realtà il mio piano A e che avrei fatto di tutto pur di portarlo avanti con orgoglio. Il numero dei miei compagni di corso si è ridotto in misura considerevole, ma non me ne faccio un problema nel momento in cui sono rimaste quelle tre o quattro persone con cui vale veramente la pena di condividere qualcosa.

Ho imparato ad essere molto più autocritico e sicuro di me allo stesso tempo, a gestire la rabbia e a non rispondere nel modo sbagliato e nel contesto sbagliato, ma soprattutto a stare nel mio e a selezionare ancora di più di quanto non facessi prima le persone.

In effetti tutto questo non spiega molto bene come mai abbia deciso di rimanere a Infermieristica e non sia passato a Medicina. Molto semplicemente: gestisco il rapporto con gli altri, con il paziente e con l’aspetto clinico a modo mio. Non mi sono mai preoccupato più di tanto di ascoltare le lamentele dei pazienti ricoverati in ospedale. Loro hanno qualcosa per cui vale la pena di farlo e da una parte li capisco anche (a me è bastato un solo ricovero in day – hospital per volermi sparare nei genitali). Allo stesso tempo, ho trovato molto più utile chiacchierare con loro e cercare di fargli capire che un lato positivo c’è sempre, piuttosto che tentare con molte altre persone che hanno sempre trovato la risposta pronta per giustificare la propria “vita di merda”.

Di tutti i pazienti che ho preso in carico, solo due mi sono rimasti particolarmente a cuore e ancora adesso mi chiedo che fine abbiano fatto. Sta di fatto che una cosa è certa: tutti loro mi hanno insegnato che è difficile ritrovarsi, da un giorno all’altro, a dipendere da qualcun altro. Sta di fatto, però, che è una nostra abitudine di vita dipendere dagli altri (non per quanto mi riguarda, a meno che non si tratti dei miei genitori).

Non tutti siamo in grado di dare tutti noi stessi per chi ne ha davvero bisogno, ma spesso dovremmo chiederci se ci sarà qualcuno che sarà disposto a farlo quando ci troveremo nella stessa situazione. Non è necessario essere amici di tutti od ottenere consensi, ma quantomeno tenere strette le persone che si amano e sperare che siano in grado di affrontare situazioni che, a volte, possono risultare più grandi di loro.

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